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Violenza sulle donne anziane, un fenomeno ancora sommerso

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Sicuramente il sommerso, cioè il non denunciato è sempre difficile da quantificare.

Secondo l’Ansa 2,5 milioni di italiane over 65 ogni anno sono vittime di abusi, violenze o truffe.

E i maltrattamenti nei loro confronti, fisici, psicologici o verbali che siano, sono aumentati del 150% in 10 anni e questa è la punta di un iceberg.

Gli episodi reali sarebbero quattro volte quelli denunciati, inoltre, come dice bene Alessandra Minello (Dip. Scienze Statistiche Università di Padova), “spesso ci sono squilibri che le donne anziane non riconoscono come violenza. Per esempio la gestione economica non libera, dare pochi soldi alla moglie, contati per fare la spesa, questo è già un tratto non sano della relazione, nelle coppie più anziane spesso è la norma. Per i casi di violenza sulle donne anziane – prosegue la Minello – non esistono ad oggi protocolli specifici. Nei centri antiviolenza viene proposto sostanzialmente lo stesso protocollo che viene proposto alle altre donne che prevede per esempio incontri di gruppo. Per il segmento di popolazione delle donne anziane questo tipo di approccio è difficile da contemplare. C’è la tendenza ad essere meno propense ai percorsi psicologici o alla condivisione e c’è maggiore intimità per quanto riguarda la relazione familiare.”

Ad una donna giovane si può proporre di cambiare residenza, mentre togliere le donne anziane dal loro ambiente per ricollocarle altrove è un percorso decisamente più complicato.

Inizia ad esserci attenzione su questo tema ma c’è poca raccolta di dati e informazioni specifiche e non c’è ancora una costruzione diffusa per i protocolli di trattamento di questo specifico tipo di violenza che ha appunto delle componenti peculiari.

I femminicidi non hanno età

Tra i femminicidi del 2022 ci sono vittime di cui non si parla sui giornali e nei media: le donne anziane e fragili.

Quello dell’uccisione delle donne anziane con problemi di salute, è un fenomeno che resta sotto traccia e per alcuni non rientrerebbe neanche nella categoria vera e propria del femminicidio“, afferma Pina Lalli (Dip. Scienze Politiche e Sociali, referente dell’Osservatorio di ricerca sul femminicidio dell’Università di Bologna).

Si tratta dei “femminicidi altruistici o pietosi“, come sono stati chiamati in alcune sentenze, quelli che hanno come vittime donne anziane e fragili. 

E ancora “Sono delitti che non fanno rumore, che la cronaca segue meno perché la vicenda non si presta alla narrazione del feuilleton tra amanti, le donne non sono giovani e carine e non hanno foto sui social e perché il movente appare in fin dei conti accettabile: non ce la faceva più a occuparsi di lei, non voleva vederla soffrire. Tutto questo, però, ha una matrice precisa e sta nella profonda disuguaglianza delle aspettative di genere, per cui l’obbligo della cura resta prerogativa della donna. Non succede mai che una donna uccida il marito malato perché sopraffatta o per liberarsi dalla responsabilità dell’accudimento, e non è un caso.“ 

Più l’età dell’autore è avanzata – si legge in uno dei passaggi della relazione prodotta dalla Commissione di inchiesta parlamentare. – più la tolleranza giudiziaria dell’atto è marcata“.

Eppure non è certo la vittima ad essere responsabile di quanto le accade Sono tante ogni anno le donne anziane uccise in famiglia, e negli ultimi anni sempre di più.

Nel 2021, l’Osservatorio femminicidi di Repubblica, segnala che il 35% delle vittime aveva più di 65 anni.

Molte le ultra 80enni, tante le ultrasettantenni che hanno portato a 119 il numero delle vittime. Senza considerare le morti mascherate da decesso per cause naturali che fanno sì che il numero dei femminicidi risulti sempre sottostimato.

Nella Relazione della Commissione di inchiesta parlamentare si legge: “I femminicidi/suicidi che vedono vittime donne anziane o con patologie negli atti giudiziari sono motivati con una certa comprensione e benevolenza; le coppie o le famiglie in cui maturano sono descritte come “molto unite ; l’uomo è indicato come colui che si prende cura dell’invalida (moglie, figlia o madre) e, alla fine, la uccide per le seguenti ragioni: per liberare la donna dalla malattia; perché lui stesso non tollera di vederla in quelle gravose condizioni; perché non ha più la forza di accudirla. Le piste di indagine nei femminicidi di donne anziane (specie quando vi è il suicidio dell’autore) proprio per questo sono sempre rivolte alla ricerca di patologie psichiatriche o malattie incurabili o a problemi di carattere economico che possano avere motivato l’evento, tanto da renderlo persino accettabile moralmente”.

La tendenza ad archiviare senza indagini è stata segnalata nell’ultima relazione della commissione parlamentare “Anche quando troviamo biglietti che spiegano il gesto, sono scritti sempre dall’uomo. Nei casi presentati come suicidio di coppia, è l’uomo che uccide prima lei poi si ammazza. È dell’uomo l’unica versione. E ci si accontenta, senza andare oltre, sentire familiari, amiche, badanti, trovare il vero movente, traccia di maltrattamenti nel vissuto della vittima. Bisogna fare le indagini. Si parla di pietà ma si uccide con il fucile, o con un coltello.

I femminicidi altruistici? Semplicemente, non esistono”.